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IL DYLAN DI DYLAN

Articolo di Marco Ongaro pubblicato sulla rivista Inchiostro

Interstellar, film di fantascienza di Christopher Nolan del 2014, si basa sul ponte di Einstein-Rosen, una teoria su scorciatoie che offrirebbero la possibilità di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso cunicoli spazio-temporali detti wormholes, letteralmente buchi di vermi.
Nella distopia di Nolan la Terra non è più ospitale e gli umani devono trovare un altro posto dove andare, sfruttando i wormholes alla ricerca di un pianeta abitabile in altre galassie.
Il regista ha arricchito l’intreccio con una citazione da Dylan Thomas, Non andartene docile in quella buona notte, poesia composta nel maggio 1951 e dedicata al padre David John, allora consumato da un cancro. La forma è quella della villanelle, 19 versi suddivisi in cinque terzine e una quartina finale, molto usata a imitazione delle ballate inglesi di ispirazione pastorale.

Non andartene docile in quella buona notte
di Dylan Thomas

Non andartene docile in quella buona notte,
la vecchiaia dovrebbe bruciare e delirare al chiudersi del giorno;
infuria, infuria, contro il morire della luce.

Per quanto i saggi sappiano alla loro fine che la tenebra è giusta,
giacché le loro parole non hanno diramato fulmini,
non andartene docile in quella buona notte.

Gli uomini buoni, con l’ultima onda, gridando quanto splendide
le loro fragili gesta avrebbero danzato in una verde baia,
infuriano, infuriano contro il morire della luce.

Gli uomini selvaggi che presero e cantarono il sole in volo,
e impararono, troppo tardi, di averne addolorato il passo,
non se ne vanno docili in quella buona notte.

I becchini, vicini alla morte, che vedono con cieca vista
che occhi ciechi avrebbero potuto brillare come meteore ed essere allegri,
infuriano, Infuriano contro il morire della luce.

E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
benedicimi ora con le tue lacrime feroci, ti prego.
Non andartene docile in quella buona notte.
Infuria, infuria contro il morire della luce.

Scritta nel 1951, due anni prima della propria morte, e dedicata al padre morente, la poesia di Dylan Thomas associa con efficacia lo spegnersi del giorno allo spegnersi della vita, metafora non certo nuova nella storia della poesia. Salvatore Quasimodo nel 1930 l’aveva già suggellata in un’arcinota terzina.