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RISPOSTA NON C’È – Dalla Sibilla a Mogol

RISPOSTA NON C’È – Dalla Sibilla a Mogol

Articolo di Marco Ongaro pubblicato sulla rivista Inchiostro

Così la neve al sol si disigilla,
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

Così Dante, nei versi 64-66 del XXXIII Canto del Paradiso, rammenta la peculiarità del responso affidato al vento nell’Antro della Sibilla, a Cuma presso Napoli o in altri luoghi ventosi deputati allo scioglimento dei suoi oracoli. La sacerdotessa ispirata da Apollo, dio della veggenza come della poesia, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma che, alla fine della predizione, erano mischiate e ingarbugliate dai venti delle cento aperture dell’antro, illudendo i destinatari sulla non definitiva pertinenza delle profezie al loro riguardo. Il messaggio era affidato al vento, dunque al caso, chissà se la risposta era davvero per loro o per il vicino. Come se non ci fosse un dio anche per il vento, il vecchio Eolo, figlio di Poseidone.
Il paradosso spaziotemporale su cui si fondano le predizioni se ne infischia di certi trucchetti. Non a caso il poeta Jean Cocteau ha intitolato la sua versione dell’Edipo, vicenda mitologica che dei responsi sancisce il beffardo trionfo, La macchina infernale. Gli Olimpici giocano col destino umano e si fanno beffe di chi cerca di sventarlo o ingannarlo ottenendo scorci di visione anticipata. Se la visione davvero penetra il futuro, lo trasforma in passato, dunque nessuna modifica è possibile. A che scopo interrogare l’oracolo?
Lo scrittore beat William Burroughs si era illuso non meno dei postulanti della Sibilla di raggirare il destino – l’arabo Mektoub: “è scritto” – tagliando e sminuzzando i testi per ricomporne le parole in connessioni casuali, perciò rivelatrici di verità oltre l’avarizia delle risposte divine. Né Burroughs né i postulanti greci hanno mai ottenuto soddisfazione all’ambigua ricerca di un responso sul futuro.
La domanda all’oracolo è la prima cugina della preghiera al dio.