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IL DESTINO DEL DESTINO – Da Gounod a Sofocle senza ritorno

IL DESTINO DEL DESTINO – Da Gounod a Sofocle senza ritorno

Estratto dal libro Elogio della puntualità di Andrea Battista e Marco Ongaro (Giubilei Regnani Editrice 2014)

Nel 1927 due uomini stanno viaggiando nella regione delle Alpi Marittime francesi. Si fermano a una locanda e conversano ad alta voce di ciò che interessa maggiormente loro: la musica, la poesia. Si mettono a enumerare le arie del Faust di Charles Gounod nelle quali, concordano, il compositore ha superato se stesso. Uno degli interlocutori dichiara che talune hanno l’andatura del sogno. Un signore si alza dal tavolo accanto e si presenta: è il nipote di Gounod. Racconta loro che il compositore ottocentesco aveva effettivamente sognato quelle melodie del Faust per poi annotarne le note al risveglio.

A rendere straordinario l’aneddoto è la conferma dell’impressione espressa dai due signori, di per sé sbalorditiva, ma soprattutto la coincidenza dell’incontro, se si considera che i due onorati dalla confidenza del nipote di Gounod erano il poeta Jean Cocteau e il compositore Igor Stravinskij in viaggio di collaborazione per la stesura dell’opera-oratorio Œdipus Rex, che quell’anno avrebbe debuttato a Parigi al Théatre Sarah Bernhardt.

Quante probabilità c’erano che tre personaggi di tal fatta s’incontrassero in una guinguette della riviera franco-mediterranea e che in quell’esatto momento due di loro parlassero di un’opera il cui autore aveva depositato testimonianza spirituale presso il proprio nipote seduto al tavolo accanto? Nel rimarcare il carattere innocuo di questa manifestazione del Meraviglioso è impossibile non ravvisare la trama di un appuntamento inconscio, gentilmente soprannaturale, inspiegabile attraverso gli strumenti della scienza – com’è appunto prerogativa del Meraviglioso – tuttavia di indiscutibile puntualità.

Da notare: l’opera che Cocteau e Stravinskij stanno mettendo a punto in questo viaggio è, si è detto, l’Œdipus Rex, adattamento del poeta francese dal testo tragico greco di Sofocle. Tragedia che tre anni più tardi lo stesso Cocteau rielaborerà nella pièce teatrale La macchina infernale.

Ora, se esiste una storia che simbolicamente rappresenta alla perfezione il gioco degli appuntamenti inconsci, con o senza destino, dei piedi dell’uomo che “lo portano dove egli è atteso”, questa è la narrazione eterna della tragedia edipica. Per dirla con Stefano Jacomuzzi dell’Università di Torino, che ha scritto l’introduzione alla pubblicazione italiana del dramma di Cocteau: «Gli dei hanno davvero approntato una macchina infernale, che nessuna forza può far scattare a vuoto. La casualità occasionale degli incontri e dei gesti di Edipo si colora fin dall’inizio della beffarda, più che tragica fatalità. Il Caso e il Fato coincidono: il primo offre i momenti, i luoghi, gli appuntamenti, le circostanze, le coincidenze, le parole per la ferrea catena degli accadimenti imposti dall’altro».

Riassumendo in breve il meccanismo a orologeria che presiede alla vicenda della stirpe di Laio, ci si rende conto della trappola inesorabile approntata da forze superiori in una serie di appuntamenti reconditi cui i poveri esseri umani cercano inutilmente di sfuggire.

A Laio, re di Tebe e marito di Giocasta, l’oracolo di Delfi annuncia che se avranno un figlio: «Egli ucciderà suo padre. Sposerà sua madre». Concepito comunque in una notte di ebbrezza, il neonato è abbandonato sulla montagna con i piedi forati e legati. Un pastore corinzio lo trova e lo consegna agli sterili regnanti di Corinto, Polibo e Merope, che lo adottano col nome di Edipo, ossia Piedi forati.

Cresciuto, il ragazzo s’insospettisce sulle sue origini in seguito a un alterco con un ubriaco che gli ha dato del bastardo. Interroga allora l’oracolo di Delfi che dà il solito responso: «Ammazzerai tuo padre e sposerai tua madre». Per non nuocere a chi crede siano i suoi genitori, decide di non tornare a Corinto e prende la direzione di Tebe. A un crocicchio incontra una scorta. Viene urtato da un cavallo, scoppia una contesa, un servo lo minaccia, reagisce con una bastonata. Il colpo mal diretto ammazza il signore. Il vecchio ucciso è Laio, re di Tebe, che si stava recando a Delfi a chiedere responso per liberare la sua città dal flagello della Sfinge. Senza saperlo, all’incrocio delle strade di Delfi e di Daulia, Edipo ha ucciso suo padre.

La scorta, orbata del re, si dà alla fuga mentre il giovane prosegue il suo tragitto. In una sosta apprende che la “Cagna canora” decima la gioventù tebana incapace di risolvere l’indovinello da lei proposto. La vedova di Laio, Giocasta, offre il regno e la mano al vincitore della Sfinge. Edipo sfida la “Fanciulla alata” e ne indovina l’enigma liberando così la città. Entra trionfante a Tebe e sposa la regina. Senza saperlo, sposa sua madre.

Ciascun appuntamento fissato dall’oracolo è stato rispettato con assoluta precisione, grazie all’ignoranza che circonda un verdetto oracolare di proverbiale laconicità. Gli uomini vogliono conoscere il futuro e poi cercano di evitarlo: nel tentativo, gli finiscono dritti in bocca. Questa è la beffa che il poeta tragico canta, commosso dal vano dibattersi dei suoi simili al cospetto del soprannaturale.

L’aspetto commovente della vicenda è l’insistenza con cui l’essere umano cerca di rapportarsi con il trascendente attraverso l’oracolo, il che lo espone al primo e massimo dei paradossi: se quanto annunciato è stato letto nel futuro, è inutile tentare di modificarlo poiché è già successo.

Allora a cosa serve indagarlo in anticipo? Solo l’ansia di sapere tipica dell’uomo lo lascia in balia del suo futuro. Meglio costruire il destino da sé tenendo aperto l’avvenire nell’illusione che non si sia ancora verificato. Così ciascun appuntamento rimane segreto e il suo puntuale verificarsi costituirà una sorpresa. Ma non è forse la paura di brutte sorprese a muovere l’uomo verso gli oracoli? Ebbene, la storia di Edipo gli serva di lezione per non spiare più attraverso la serratura del non ancora accaduto.