JEAN COCTEAU il testimone
Introduzione di Marco Ongaro al libro Jean Cocteau – La squisitezza del mondo di Pascal Schembri (Odoya Ed. 2018)
Da Picasso a Édith Piaf, da Raymond Radiguet a Jean Marais, da Man Ray a Kiki de Montparnasse, da Amedeo Modigliani ai Balletti Russi, toccando Ezra Pound, Thomas Eliot, Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald, Blaise Cendrars, Guillaume Apollinaire, passando attraverso l’ammirazione di Marcel Proust e il disprezzo di André Breton, il Dorian Gray della cultura francese indaga ogni forma artistica dell’Età d’Oro parigina del Novecento, superando le guerre e ritraendo la «morte al lavoro» in una battaglia all’ultimo sangue contro l’ottusità degli insensibili.
Racchiude in sé la meraviglia proteiforme dell’artista totale: saggista, poeta, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, librettista, regista cinematografico, pubblicitario, pittore di affreschi, allenatore di boxe, imitatore, talent scout e attore. Esplorando trasversalmente tutte le forme ed esaltandone il meglio, Jean Cocteau non rimane intrappolato in nessuna di esse. Di classe elevata, si sottrae a ogni classificazione attribuendo alla creazione artistica l’unica vera nobiltà.
Dotato delle antenne speciali avute in dono dalla dimensione superreale del Poeta vero, Cocteau spicca per l’imprendibilità poliedrica del suo passaggio nel XX secolo e per la sua naturale predisposizione alla squisitezza, un’inclinazione alla ricercatezza che gli ha permesso di lasciare un’impronta culturale di difficile catalogazione complessiva.
Questo tributo biografico a Jean Cocteau è omaggio all’artista ed elogio all’arte edificatrice di civiltà. Con garbo e sincera passione l’autore si inerpica sulle vette artistiche del Novecento, scalate con disinvoltura dal modello che ritrae, per restituire al lettore un’idea di cosa significasse crescere in quella Parigi con l’indole del creatore tra i creatori.
L’amicizia con Picasso perseguìta con caparbietà, quella con Proust appesa all’equivoco di un’affinità elettiva, il confronto con Gide e l’inesauribile simpatia per la Piaf, la collaborazione editoriale con Cendrars e l’amore per Jean Marais, l’ammirazione per Erik Satie e la collaborazione con Igor’ Stravinskij, il teatro alla Comédie-Française e il cinema con La bella e la bestia che sbanca il botteghino in America, la teorizzazione musicale con il Gruppo dei Sei e i battibecchi ambiziosi con François Mauriac, l’edificazione e la dissipazione del mito Raymond Radiguet, l’affetto per Max Jacob e la vicinanza transculturale con Kiki de Montparnasse: tutto nella vita di Cocteau ruota intorno a occasioni imperdibili colte al volo, cercate dall’alba al tramonto e mai lasciate andare.
Opportunità presenti a ogni angolo di strada, in ogni salotto e tugurio d’artista, opportunità di crescita, di miscela alchemica tra poesia, teatro, danza e cinema, tra letteratura e musica, con protagonisti indimenticati sottratti all’attimo scaduto di una notorietà in divenire, come dimostra l’analisi dell’eclettismo che occupa un intero capitolo del libro, spinta a sviscerare l’ansia di una creatività bulimica eppure lucida, merceologicamente orientata verso la costruzione di un’immagine di sé destinata a durare oltre la morte.
La galleria ricchissima di personaggi diventa catalogo di citazioni, taccuino di aforismi e ritratti accennati, storia della cultura europea nelle sue guerre e nei suoi dopoguerra, brulichio di individui eccezionali spesso alle prese con situazioni triviali, feste mobili nella capitale del mondo che le vicende di occupazione e deportazione non riescono a fermare.
Lo sguardo dell’autore, procedendo all’interno dell’habitus del poeta, svela le virtù di una ricerca esteriore sempre tesa alla perfezione estetica, all’attribuzione di un senso alla condizione umana e al suo irrimediabile nonsenso. Cocteau ne esce come il surrealista odiato dai surrealisti, l’artista pop ante litteram, il teatrante traduttore di tragedie greche nel linguaggio corrente, la pietra di paragone e il catalizzatore di ogni impresa culturale nei paraggi, il nume tutelare della Nouvelle Vague al Festival di Cannes, il ribelle più conservatore del circondario e l’amico più fidato tra i non amici, il pittore fuori della porta della camera ardente, il grafico pubblicitario, il coreografo del coro dei satiri, l’omosessuale dichiarato e il drogato mai pentito, in fine forse soprattutto il Testimone.
Questo Jean Cocteau è stato, nella ripetizione delle poche idee inseguite in ogni campo, in ogni ambito performativo e intellettuale, poche idee e chiarissime, indagate con insistenza fino a vederle trasformate in monumenti. Monumenti in un museo sterminato, ricolmo di leitmotiv e variazioni minime. Ogni piccolo disegno tracciato sul taccuino dell’artista, ogni sua piccola annotazione si scopre allora testimonianza di un pensiero coordinato, di una costruzione laboriosa durata un’intera vita.
Un lascito raccolto con pazienza dall’autore, inventariato con cura e trasmesso con la sorprendente semplicità di una felice assimilazione.