MARIO MONICELLI – Nuova Italia o nuova commedia?

MARIO MONICELLI – Nuova Italia o nuova commedia?

Articolo scritto da Marco Ongaro per la rivista Idem

Pensando a una nuova Ricostruzione dell’Italia dopo i recenti sconquassi, con i trasformismi, i travestitismi, gli aforismi in luogo delle ideologie, gli appelli all’equità e al ripristino di un’incorruttibilità forse mai esistita verso un nuovo florilegio di coalizioni, viene naturale tornare col pensiero a un genere cinematografico di grande successo nel secolo scorso, la Commedia all’italiana, di cui Mario Monicelli è considerato uno dei fondatori.

Questa particolare branca della Settima arte nostrana ha sempre unito una componente drammatica alle risate, basate sulla miseria, sulla fame, sulla disgrazia, sulla grettezza, sulla tragedia volta in buffonata.
Critici accreditati ne ascrivono la nascita all’uscita del film I soliti ignoti, del 1958, ma lo stesso Monicelli ribatte che l’inizio semmai è riconducibile a Totò cerca casa, scritto e girato insieme a Steno nel 1949, pellicola che narra le disavventure della maschera Totò alle prese con il problema degli alloggi nel Secondo dopoguerra.
Il protagonista è un impiegato del Comune con moglie e due figli a carico che, dopo aver perso la casa a seguito di un bombardamento, decide di trasferirsi momentaneamente in un’aula scolastica. Tutto fila liscio fino a quando il Comune non decide di sgomberare gli sfollati per riaprire la scuola. Comincia così un’assidua ricerca della casa che lo porta ad abitare in un cimitero, con vicissitudini tra il gotico e il comico che lo convincono a desistere, a trasferirsi nello studio di un pittore e poi dentro il Colosseo. Dopo varie peripezie, il poveraccio riesce a prendere possesso di un lussuoso appartamento, ma in seguito scoprirà che un immobiliarista imbroglione l’ha affittato contemporaneamente a vari inquilini.
Il finale potrebbe far da preludio al Bidone, tardivo viaggio nel neorealismo firmato Flaiano/Pinelli/Fellini del 1955, e nel complesso la pellicola combina con arguzia lo humour nero e la farsa da commedia dell’arte in una sorta di parodia del neorealismo che mostra l’embrione di quella che sarà universalmente catalogata come Commedia all’italiana. Dal cinema fatto per strada da Rossellini e De Sica nasce questa forma di commedia, prodotto cinematografico di serie B che mostra le sue potenzialità nell’incidentale, quasi involontaria capacità di rispecchiare la società dell’epoca attraverso le meschinerie che gli individui si trovano a intraprendere per sopravvivere.
Il sodalizio artistico di Mario Monicelli con Steno è iniziato nel 1946. È l’anno del suicidio del padre, Tomaso Monicelli, ex direttore del Resto del Carlino e dell’Avanti! nonché critico teatrale e drammaturgo, dimenticato da tutti nonostante il crollo del regime che aveva avversato. Il dramma tocca il regista in tutta la sua crudeltà, ma non è nel suo stile compiangersi. Non sempre dichiarerà che, nel bagno di casa in cui il genitore si è tolto la vita, il figlio è entrato a tentare di soccorrerlo insieme alla madre. Dev’essere stato un momento terribile, un’esperienza d’impossibile rimozione. Forse è qui che si forma definitivamente l’avversione del regista per le scene madri e per l’esposizione “ricattatoria” dei sentimenti. È sua la dichiarazione: “La Tragedia non esiste, esiste solo la Commedia”. La chiosa “Tra l’altro un bagno molto modesto”, posta a conclusione dello scarno resoconto del suicidio del padre, ne conferma la concezione estetica.
Più che formativi, gli ultimi anni sono stati forgianti. Hanno posto Mario Monicelli nel centro del crogiuolo, hanno bruciato il bene e il male lasciando le scorie a decidere il carattere e la forma intima del trentunenne orfano di padre, emerso dalla guerra e immerso in un dramma da cui non può e non deve lasciarsi travolgere. Gli strumenti li ha, l’estrazione sociale è buona, perché elevata e genuina. Sua zia, la sorella di papà, è moglie di Arnoldo Mondadori e pure lo zio Giorgio, il fratello, è traduttore ed editore. Cresciuto in ambiente raffinato e colto, ha a disposizione tutta la letteratura necessaria per infischiarsene della forma alta e puntare a una poetica dell’infimo, del miserrimo, del meschino che, in linea con la tradizione toscana, contraddistinguerà i suoi lavori migliori. E ha una gran voglia di lavorare. In tutte le direzioni: commedia, melodramma, neorealismo.